NEVE DI CENERE - La morte non organica
Tutti noi prima o poi abbiamo finito per imbatterci in speculazioni su cosa definisca la morte, al di là del mero fine vita di una creatura organica. Un essere vivente nasce e muore, questo è un dato di fatto. Tuttavia ci siamo trovati spesso a ragionare su cosa voglia dire vivere, vivere davvero. Quindi di conseguenza morire. Un'immensità di banali frasi fatte sciorinate ovunque, a partire dal web: si muore quando si smette di sognare; si muore quando si smette di sperare; si muore quando si smette di credere. Sì, ma in cosa? Con Neve di Cenere ho voluto prendere in considerazione questo dilemma sradicandolo completamente dal presupposto della natura organica, quindi deperibile, dell'essere vivente. Se fossimo androidi o comunque creature che non possono in alcun modo morire, che significato assumerebbe il concetto di morte per noi? Lo avremmo, un concetto di morte? Lasciando da parte i buoni sentimenti e i facili idealismi, in che modo si arriva alla consapevolezza di essere morti o meglio “di non essere vivi” pur esistendo ancora? Il discorso potrebbe essere ricondotto alle classiche dicotomie tra sopravvivere e vivere, tra vivere e lasciarsi vivere, tra vivere ed esistere. Neve di Cenere mi ha fornito la possibilità di assumere la prospettiva di un individuo che è esistito per più di un secolo eppure non ha mai vissuto davvero. Esistere è esistito ma vivere non è vissuto poiché non aveva alcuna consapevolezza della sua stessa esistenza. Questa logica mi ha portato a pensare alla nascita come ad un'acquisizione di consapevolezza: so di esistere quindi sono vivo. Una declinazione molto semplificata del "cogito ergo sum" di cartesiana memoria. Nel momento in cui Neve di Cenere diviene consapevole della sua esistenza al punto tale da cercare un nome e un'identità per definirsi in essa, egli si ritiene vivo. Nonostante i suoi sentimenti e le sue emozioni siano una mera simulazione riprodotta da un apposito processore egli li sperimenta sul serio, li vive sul serio e sovente si fa spaventare da loro: è abbastanza per essere vivo? Per Neve di Cenere sì. A ben vedere, individui che sperimentano l'assenza di emozioni e di sentimenti sono ovunque. L'emotività non è affatto una costante nell'essere umano: spesso e volentieri condizioni neurologiche portano alcuni individui a non essere in grado di elaborare un'emotività. Esistono attorno a noi persone incapaci di provare sentimenti. No, non sono persone spaventate dai sentimenti che si costringono per questo a non provarne, affatto. Effettivamente non sono in grado di sperimentarne poiché il loro cervello non è in grado di elaborarne. Eppure, non possiamo definire queste persone come non vive. Sono come noi, vivono e interagiscono con noi, sovente finiscono per essere ammirate e stimate da noi per la lucidità con cui riescono ad affrontare qualsiasi situazione. Sono diverse? Sì. Sono meno vive per questo? Affatto. Quindi ho finito per escludere l'ipotesi per cui non si è vivi nel momento in cui non si prova nulla. Si può essere vivi e non provare nulla. Allora cosa ci fa sentire vivi? Questo quesito come qualsiasi altra domanda di tal guisa, apre ad un ventaglio di ipotesi e si ramifica in un procedere di speculazioni tale da rendere un possibile confronto su tale argomento pressoché eterno. Molto probabilmente non esiste una risposta univoca, molto probabilmente la risposta varia da individuo a individuo in base alle credenze e alla sensibilità di ognuno.
Per Neve di Cenere, la morte equivale alla perdita della libertà: nel momento in cui non è più libero esso si definisce “morto”. Tornando al discorso sulle varie speculazioni “si muore quando si smette di sognare; si muore quando si smette di sperare; si muore quando si smette di credere” ci si rende conto che tutte quante hanno un elemento in comune, un presupposto imprescindibile: sognare, sperare, credere presuppongono tutti il fatto di avere la libertà di farlo. Una libertà che siamo abituati a dare per scontata ma che invero non lo è affatto. Non tutti sono liberi di permettersi di sognare, di sperare, di credere. Tale libertà a dirla tutta è un lusso per pochi. Neve di Cenere questo lusso non lo ha. Molti di noi, a ben vedere non lo hanno. Come Neve di Cenere trova il suo personale concetto di morte nella perdita della libertà, dal canto mio l'ho sempre trovato nella perdita della consapevolezza: nel momento in cui perderò la mia identità, nel momento in cui non sarò più consapevole di esistere, allora la mia esistenza in sé sarà inutile. Poiché alla fine dei conti, scansando buonismi vari ed eventuali, l'unico a cui è davvero utile la tua esistenza, sei tu stesso. Allora, nel momento in cui la tua esistenza diventa inutile, persino a te stesso, sopratutto a te stesso, vale la pena davvero continuare a vivere? E in caso fosse così, per cosa varrebbe la pena vivere? Sei sicuro di essere vivo? Quasi sicuramente la tua risposta sarà “no”. Ma allora se non sei vivo, sei morto? Cosa ti definisce tale, pur respirando ancora?
Per Neve di Cenere, la morte equivale alla perdita della libertà: nel momento in cui non è più libero esso si definisce “morto”. Tornando al discorso sulle varie speculazioni “si muore quando si smette di sognare; si muore quando si smette di sperare; si muore quando si smette di credere” ci si rende conto che tutte quante hanno un elemento in comune, un presupposto imprescindibile: sognare, sperare, credere presuppongono tutti il fatto di avere la libertà di farlo. Una libertà che siamo abituati a dare per scontata ma che invero non lo è affatto. Non tutti sono liberi di permettersi di sognare, di sperare, di credere. Tale libertà a dirla tutta è un lusso per pochi. Neve di Cenere questo lusso non lo ha. Molti di noi, a ben vedere non lo hanno. Come Neve di Cenere trova il suo personale concetto di morte nella perdita della libertà, dal canto mio l'ho sempre trovato nella perdita della consapevolezza: nel momento in cui perderò la mia identità, nel momento in cui non sarò più consapevole di esistere, allora la mia esistenza in sé sarà inutile. Poiché alla fine dei conti, scansando buonismi vari ed eventuali, l'unico a cui è davvero utile la tua esistenza, sei tu stesso. Allora, nel momento in cui la tua esistenza diventa inutile, persino a te stesso, sopratutto a te stesso, vale la pena davvero continuare a vivere? E in caso fosse così, per cosa varrebbe la pena vivere? Sei sicuro di essere vivo? Quasi sicuramente la tua risposta sarà “no”. Ma allora se non sei vivo, sei morto? Cosa ti definisce tale, pur respirando ancora?
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