L'odio per la letteratura che instilliamo nei futuri lettori

Nella giornata del libro la riflessione che desidero portare avanti non è su perché si dovrebbe leggere, di motivazioni ne vengono sciorinate fin troppe praticamente ovunque, ma sul modo in cui molti italiani vengono spinti ad odiare i libri, fino a darli per scontati come qualcosa di detestabile e tedioso. La colpevole principale è quell'istituzione che dovrebbe piuttosto insegnarti ad amarli: la scuola. Dal canto mio, nei miei cinque lunghi (interminabili) anni di liceo classico, ho mantenuto stabile la media del 5 in quella materia che era Letteratura Italiana. Se mi sono salvata dalla bocciatura per cinque anni a dispetto dei voti orridi, era per via del fatto che in Italiano, al di là della letteratura, prendevo puntualmente 9 e 10 nei temi, il che compensava quei votacci in Letteratura Italiana. Oramai sono passati dieci anni da quando mi diplomai con il mio sessanta e qualcosa scarso (neanche ricordo onestamente quale fu il mio voto di Diploma, tanto fu rilevante per la mia esistenza) e ad oggi con il senno di poi potrei dire: sono fiera dei miei 5 in Letteratura Italiana. Sono fiera di non aver mai aperto un libro scolastico di Letteratura Italiana e ringrazio me stessa per non essermi mai trovata pronta a nessuna, e ribadisco nessuna, interrogazione. Poiché se lo avessi fatto, molto probabilmente la letteratura la odierei come la odiano gran parte dei miei ex-compagni di classe diplomati con i loro 90 o 100. Perché questo? Perché io la letteratura l'ho studiata come pareva a me, sapevo che era l'unico modo per farmela piacere e sì, avevo perfettamente ragione. La Letteratura Italiana come la insegnano nelle scuole è una mole interminabile di dati sterili. Va bene collocare un autore in un dato periodo storico, ma lì l'utilità della biografia in gran parte dei casi si esaurisce. Invece la Letteratura Italiana come ce la fanno studiare a noi, è un ammasso di nomi e date, luoghi ed eventi per un buon novanta per cento. I libri, gli estratti, i versi, coprono appena il dieci per cento dello studio di questa materia. Se tutto va bene. 

Perché diciamocelo, quanti di noi ricordano esattamente quante sorelle avesse Giovanni Pascoli? Ma chi se ne frega, dico io, di quante sorelle avesse il Pascoli. Eppure rimane ad oggi il mio poeta preferisco di cui ricordo a memoria quasi ogni componimento. 

Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.


Questo lo ricordo. Non quante sorelle avesse. Quando c'è così tanto da studiare, pretendere che gli studenti ricordino piuttosto quante sorelle avesse è demenziale. 

Tutti noi conosciamo Giacomo Leopardi, io ricordo ancora: 
 
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.



Eppure tutti noi siamo stati martoriati con la fatidica domanda durante le interrogazioni, su dove Leopardi sia morto. E' davvero così rilevante che sia morto a Napoli invece che a Recanati? No, non lo è. Non è rilevante affatto. Cosa ha scritto è rilevante, non dove sia morto. 

Un po come il nome della madre di Dante Alighieri. No seriamente, a cosa serve costringere gli studenti ad imparare a memoria tal nome? Eppure a memoria ancora ricordo:

Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse. 
E caddi come corpo morto cade.
 

Potremmo fare questo discorso con qualsiasi Letteratura ci venga propinata a scuola. Che sia quella inglese, quella francese, quella latina, quella greca. 

Quanti di noi ricordano che il Carme di Catullo tanto famoso era il numero 85? Eppure chiunque abbia studiato letteratura latina ricorda
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Quanti di voi ricordano di quanti libri esattamente sia composto l'Iliade? Voi lo ricordate? Perché io, lo ammetto tranquillamente, non lo ricordo e statene certi, non perderò neanche tempo a googlarlo. Non ne vale la pena. Però ricordo con certezza di preferire la traduzione di Vincenzo Monti a tutte le altre. Ne ho incontrate altre nel corso dei miei studi, di traduzioni. Saranno state più immediate, ma mi hanno fatto accapponare la pelle a differenza di questa: 
Cantami, o Diva, del pelide Achille
l'ira funesta che infiniti addusse lutti
agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atride e il divo Achille 

E Ludovico Ariosto? Cosa ricordate dell'Ariosto? Scommetto sarete tutti ferratissimi sulla sua biografia almeno quanto me. Che tradotto significa: ha scritto l'Orlando Fuiroso. Punto. Eccolo però il proemio, quello lo rammento a memoria dopo oltre dieci anni.
Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l'ire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.

E immagino che tutti ricordiate gli eventi della carriera politica di Seneca come senatore e questore. Ah no? Eppure
Vita, si uti scias, longa est.

Questo io ricordo. Questo vale la pena di essere ricordato. Ma no, continuiamo a imbottire la testa dei nostri ragazzi con informazioni obiettivamente inutili, il cui unico scopo è far odiare loro la letteratura. Volete insegnar loro ad apprezzare la letteratura? Fategliela leggere, fategliela esplorare, metteteli in condizioni di cercare il brano, l'estratto, il verso che vorranno tenere con loro per il resto della loro esistenza. Non dettate loro dogmaticamente quali sono i classici imprescindibili della letteratura, gli autori sempre attuali. La verità è che non ne sapete un accidente di quali siano gli attuali veri. Nei vostri libri di letteratura dei temi davvero contemporanei non se ne parla affatto, è troppo tempo che i programmi di letteratura non vengono aggiornati, troppo tempo che continuate a propinare tematiche vetuste, obsolete e oramai inutili e prive di importanza. Proprio per questo dovreste lasciare agli studenti il compito di comprendere quali siano i classici, scegliere quali temi e quali autori sono abbastanza attuali per loro, per la loro sensibilità ancora in divenire e per questo molto più sviluppata della vostra. Il che solleva una seconda questione: perché dobbiamo limitarci a circoscrivere la conoscenza della letteratura a quella italiana? Cos'è, siamo bambini speciali? Siamo indiscutibilmente più belli e intelligenti di tutti gli altri? Non è forse vero che la letteratura è tale a dispetto della nazionalità di chi la scrive e della lingua in cui è stata scritta? 

Kurt Vonnegut scrive in “Mattatoio n.5” 

 E là da qualche parte un tizio simpatico che si chiamava Seymour Lawrence mi fece un contratto per tre libri da scrivere, e io dissi: «OK, il primo dei tre sarà il mio famoso libro su Dresda». Gli amici di Seymour Lawrence lo chiamano «Sam». E adesso io dico a Sam: «Sam, ecco qui il. libro». È così breve, confuso e stonato, vedi Sam, perché non c'è niente di intelligente da dire su un massacro. Si suppone che tutti siano morti, e non debbano più dir niente o voler niente. Dopo un massacro tutto dovrebbe esser tranquillo, e infatti lo è, sempre, salvo per gli uccelli. E cosa dicono gli uccelli? Tutto quello che c'è da dire su un massacro; cose come "Puu-tiiuiit?". Ho detto ai miei figli che non devono, in nessuna circostanza, prender parte a un massacro, e che la notizia di massacri compiuti tra i nemici non deve riempirli di soddisfazione o di gioia. Ho anche detto loro di non lavorare per società che fabbricano congegni in grado di provocare massacri, e di esprimer disprezzo per la gente che pensa ci siano necessari congegni del genere.  

Qualcuno avrebbe da ridire sull'attualità di un tema simile? Eppure scusate, noi mica possiamo studiarlo, dobbiamo dedicare un intero semestre a Padron 'Ntoni e al suo carico di lupini che affonda. Vorrete mica mettere il collo lungo della Longa con la necessità di parlare di massacri? Non ce ne frega niente di questo dannato carico di lupini. Non ce ne frega niente da generazioni. Non ha più alcuna attualità, da generazioni. Smettiamo di rendere la letteratura una mole sterile di dati inutili che i nostri studenti debbano ficcarsi in testa a forza, contro voglia, perché devono. Diamo loro i mezzi per esplorare la letteratura per quello che è, per quello che è davvero importante di essa. Non i nomi o le date: la letteratura, per l'appunto. Forse allora una volta usciti dalla scuola, non saranno così disgustati all'idea di aprire nuovamente un libro come invece lo sono ora. Poiché voi che pretendete di insegnar loro la letteratura li avete resi tali. L'unica cosa che avete insegnato loro è che la letteratura è qualcosa di inutile, noioso e monotono. Come potrete pretendere poi che divengano appassionati lettori da grandi?

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