Parlo di me: l'Amorfo.
"Considero la vita una locanda, dove devo fermarmi fino all'arrivo della diligenza dell'abisso. Non so dove mi condurrà, perché non so niente."
Avevo tredici anni quando per la prima volta coniai per me stessa un termine che mi definisse laddove non potevo essere definita: Amorfo. Così mi rivolgo a me stessa quando mi penso: l'Amorfo. E' una definizione che non ho mai manifestato con nessuno e a nessuno ne ho mai spiegato le ragioni: non avrebbero capito. Per quanto elementari, non le avrebbero capite. Proverò a spiegarle ora poiché mi sarà utile per arrivare ad un punto.
Io non sono donna. Non mi sono mai definita come donna, non mi sento tale. Allo stesso modo, non mi sento uomo. Non appartengo a nessuna delle due categorie - per atteggiamenti, comportamenti, modo di ragionare, scelte, fino a cose banali come il modo di vestire - io non mi rivedo in nessuno dei due modi d'essere.E' in me talmente radicato il rifiuto di tale dicotomia che pensandomi, nella mia mente, mi rivolgo a me stessa al maschile non in quanto maschile ma in quanto elemento della lingua italiana utile ad appellare il neutro. Se fossi di madrelingua inglese il pronome con il quale mi appellerei sarebbe "it" ma non ne abbiamo un corrispettivo in italiano e tocca accontentarsi.
Allo stesso tempo, non sono giovane ma neanche vecchia. O meglio, la bambina di quattro anni e l'ultracentenaria in me convivono mal sopportandosi per gran parte del tempo. Guardo il mondo con l'innocenza dell'infanzia e lo disprezzo con la stanchezza della vecchiaia. Di sicuro non ho la mente di una trentenne quale sono, non ho mai avuto una mente corrispondente per maturità alla mia effettiva età anagrafica, nel corso del mio sviluppo.
Non sono italiana. Lo sono per nascita ma non mi ci sento. Nulla in me lascia immaginare quale sia la mia nazione di origine, non solo per aspetto ma anche per cultura. Non ho mai familiarizzato con le tradizioni e per quanto riguarda i valori, tendo sovente ad essere più vicina ad alcuni valori giapponesi, ad altri belga, ad altri olandesi. Ma non mi rispecchio in quelli italiani, non lo ho mai fatto. Gli italiani come popolo mi sono estranei, per quanto sia nata e cresciuta in mezzo a loro.
Per quanto riguarda l'orientamento sessuale, io non ne possiedo. Appartengo alla categoria degli asessuali, quelli che non provano attrazione per persone del sesso opposto ma neanche per quelle dello stesso sesso. Non provo attrazione e basta, non conosco il desiderio dell'altro, la presenza dell'altro mi è del tutto indifferente come la sua approvazione.
Arrivando alla spiritualità beh, neanche quella ho. Non solo sono atea ma sono fermamente convinta che non esista un'anima o comunque la si voglia chiamare. Disprezzo la superstizione e la magia e in genere, tutto ciò che non sia scientificamente dimostrabile e anche solo ipotizzabile. Mi sono sempre soffermata a osservare gli altri esseri umani intenti a cercare uno scopo, a inseguire un sogno, a giustificare le proprie azioni e a provare in tutti i modi a sentirsi migliori, ad apparire migliori. Questo non l'ho mai capito. L'antropocentrismo lo trovo così stupido.
Per quanto mi riguarda noi esseri umani altro non siamo che mammiferi della famiglia dei primati. Una specie come tutte le altre, nulla più nulla meno. Come tutte le altre specie, il nostro scopo è nascere, crescere, riprodurci e morire. La morte è l'ultimo fine, non c'è altro ad attenderci che essa.
Proprio per questo sono stata sempre una persona priva di sogni, aspettative e aspirazioni. Io ero la bambina che non sapeva mai cosa rispondere alla domanda "cosa farai da grande?" e devo dire che tutt'ora - da adulta fatta e finita - non ho trovato risposta né mi interessa trovarla. Sarebbe come giustificare la mia esistenza, cosa che non sento alcun bisogno di fare.
Sono nata semplicemente per morire, come tutti gli altri. Abbiamo una vita di tempo da riempire con quel che vogliamo ma impegnarcisi troppo sarebbe uno spreco. Insomma, l'esito sarà comunque lo stesso comunque vada la partita. Perciò potrei dire che mi sono accomodata sulla poltrona della vita, con un buon libro e una tazza fumante ad attendere che la morte giunga. Né più né meno. Ogni tanto dalla poltrona sollevo lo sguardo e, oltre la finestra, getto un'occhiata all'umanità che mi circonda. Solo un'occhiata, frettolosa e annoiata a dire il vero. Capita che qualcuno attragga la mia attenzione e mi spinga a dedicargli uno sguardo più accurato ma nonostante questo, finisco per tornare al libro e dimenticarmene in breve tempo, intonsa e immutata. Neanche il libro so di cosa parli a dirla tutta, è una vita che lo leggo e ancora non l'ho capito. Molto probabilmente quel libro sono Io, è l'unica ipotesi plausibile che io riesca a formulare.
Sta di fatto che un giorno - non molto tempo fa - decisi che avevo bisogno di leggere un libro. Un libro che non avevo mai letto e che, improvvisamente, sapevo che avrei dovuto leggere. Avevo la certezza - pur ignorando come mai - del fatto che quel libro avrebbe saputo darmi delle risposte, delle conferme, dei consigli o non so cos'altro di cui, a questo punto della mia esistenza, non potevo più fare a meno. Mi sono svegliata una mattina e "Il libro dell'Inquietudine" di Pessoa era divenuto l'obiettivo della mia vita. Nulla più di una semplice intuizione.
E' per questo che sto parlando ora di una cosa di cui non ho mai parlato. Pagina dopo pagina (perché no, non ho terminato a leggerlo e intendo metterci dannatamente tanto) non mi sento sola. Pagina dopo pagina trovo conferma del fatto che nella mia inedia non vi sia nulla di sbagliato. Se credessi a qualcosa come la reincarnazione, sarei pronta a giurare che Bernando Soares sia esistito sul serio e, una volta morto, si sia reincarnato in me, identico sputato a come usava essere nella sua precedente vita. Più vado avanti nella lettura più vi trovo una legittimazione della mia essenza. Legittimazione non intesa come giustificazione ma come conferma d'esistenza. Io esisto in quanto Amorfo e questo non solo è reale ma anche perfettamente plausibile e calzante.
Come al solito, il mio intuito si è rivelato una bussola infallibile nelle mie giornate ma questa faccenda del mio infallibile intuito la spiegherò nella prossima puntata.
"La fraternità ha sottigliezze. Alcuni governano il mondo, altri sono il mondo. Tra il milionario americano, con conti in Inghilterra, o in Svizzera, e l'autorità socialista di un villaggio, non c'è differenza di qualità ma solo di quantità. Al di sotto di loro ci siamo noi, gli amorfi..."
- Fernando Pessoa
Avevo tredici anni quando per la prima volta coniai per me stessa un termine che mi definisse laddove non potevo essere definita: Amorfo. Così mi rivolgo a me stessa quando mi penso: l'Amorfo. E' una definizione che non ho mai manifestato con nessuno e a nessuno ne ho mai spiegato le ragioni: non avrebbero capito. Per quanto elementari, non le avrebbero capite. Proverò a spiegarle ora poiché mi sarà utile per arrivare ad un punto.
Io non sono donna. Non mi sono mai definita come donna, non mi sento tale. Allo stesso modo, non mi sento uomo. Non appartengo a nessuna delle due categorie - per atteggiamenti, comportamenti, modo di ragionare, scelte, fino a cose banali come il modo di vestire - io non mi rivedo in nessuno dei due modi d'essere.E' in me talmente radicato il rifiuto di tale dicotomia che pensandomi, nella mia mente, mi rivolgo a me stessa al maschile non in quanto maschile ma in quanto elemento della lingua italiana utile ad appellare il neutro. Se fossi di madrelingua inglese il pronome con il quale mi appellerei sarebbe "it" ma non ne abbiamo un corrispettivo in italiano e tocca accontentarsi.
Allo stesso tempo, non sono giovane ma neanche vecchia. O meglio, la bambina di quattro anni e l'ultracentenaria in me convivono mal sopportandosi per gran parte del tempo. Guardo il mondo con l'innocenza dell'infanzia e lo disprezzo con la stanchezza della vecchiaia. Di sicuro non ho la mente di una trentenne quale sono, non ho mai avuto una mente corrispondente per maturità alla mia effettiva età anagrafica, nel corso del mio sviluppo.
Non sono italiana. Lo sono per nascita ma non mi ci sento. Nulla in me lascia immaginare quale sia la mia nazione di origine, non solo per aspetto ma anche per cultura. Non ho mai familiarizzato con le tradizioni e per quanto riguarda i valori, tendo sovente ad essere più vicina ad alcuni valori giapponesi, ad altri belga, ad altri olandesi. Ma non mi rispecchio in quelli italiani, non lo ho mai fatto. Gli italiani come popolo mi sono estranei, per quanto sia nata e cresciuta in mezzo a loro.
Per quanto riguarda l'orientamento sessuale, io non ne possiedo. Appartengo alla categoria degli asessuali, quelli che non provano attrazione per persone del sesso opposto ma neanche per quelle dello stesso sesso. Non provo attrazione e basta, non conosco il desiderio dell'altro, la presenza dell'altro mi è del tutto indifferente come la sua approvazione.
Arrivando alla spiritualità beh, neanche quella ho. Non solo sono atea ma sono fermamente convinta che non esista un'anima o comunque la si voglia chiamare. Disprezzo la superstizione e la magia e in genere, tutto ciò che non sia scientificamente dimostrabile e anche solo ipotizzabile. Mi sono sempre soffermata a osservare gli altri esseri umani intenti a cercare uno scopo, a inseguire un sogno, a giustificare le proprie azioni e a provare in tutti i modi a sentirsi migliori, ad apparire migliori. Questo non l'ho mai capito. L'antropocentrismo lo trovo così stupido.
Per quanto mi riguarda noi esseri umani altro non siamo che mammiferi della famiglia dei primati. Una specie come tutte le altre, nulla più nulla meno. Come tutte le altre specie, il nostro scopo è nascere, crescere, riprodurci e morire. La morte è l'ultimo fine, non c'è altro ad attenderci che essa.
Proprio per questo sono stata sempre una persona priva di sogni, aspettative e aspirazioni. Io ero la bambina che non sapeva mai cosa rispondere alla domanda "cosa farai da grande?" e devo dire che tutt'ora - da adulta fatta e finita - non ho trovato risposta né mi interessa trovarla. Sarebbe come giustificare la mia esistenza, cosa che non sento alcun bisogno di fare.
Sono nata semplicemente per morire, come tutti gli altri. Abbiamo una vita di tempo da riempire con quel che vogliamo ma impegnarcisi troppo sarebbe uno spreco. Insomma, l'esito sarà comunque lo stesso comunque vada la partita. Perciò potrei dire che mi sono accomodata sulla poltrona della vita, con un buon libro e una tazza fumante ad attendere che la morte giunga. Né più né meno. Ogni tanto dalla poltrona sollevo lo sguardo e, oltre la finestra, getto un'occhiata all'umanità che mi circonda. Solo un'occhiata, frettolosa e annoiata a dire il vero. Capita che qualcuno attragga la mia attenzione e mi spinga a dedicargli uno sguardo più accurato ma nonostante questo, finisco per tornare al libro e dimenticarmene in breve tempo, intonsa e immutata. Neanche il libro so di cosa parli a dirla tutta, è una vita che lo leggo e ancora non l'ho capito. Molto probabilmente quel libro sono Io, è l'unica ipotesi plausibile che io riesca a formulare.
Sta di fatto che un giorno - non molto tempo fa - decisi che avevo bisogno di leggere un libro. Un libro che non avevo mai letto e che, improvvisamente, sapevo che avrei dovuto leggere. Avevo la certezza - pur ignorando come mai - del fatto che quel libro avrebbe saputo darmi delle risposte, delle conferme, dei consigli o non so cos'altro di cui, a questo punto della mia esistenza, non potevo più fare a meno. Mi sono svegliata una mattina e "Il libro dell'Inquietudine" di Pessoa era divenuto l'obiettivo della mia vita. Nulla più di una semplice intuizione.
E' per questo che sto parlando ora di una cosa di cui non ho mai parlato. Pagina dopo pagina (perché no, non ho terminato a leggerlo e intendo metterci dannatamente tanto) non mi sento sola. Pagina dopo pagina trovo conferma del fatto che nella mia inedia non vi sia nulla di sbagliato. Se credessi a qualcosa come la reincarnazione, sarei pronta a giurare che Bernando Soares sia esistito sul serio e, una volta morto, si sia reincarnato in me, identico sputato a come usava essere nella sua precedente vita. Più vado avanti nella lettura più vi trovo una legittimazione della mia essenza. Legittimazione non intesa come giustificazione ma come conferma d'esistenza. Io esisto in quanto Amorfo e questo non solo è reale ma anche perfettamente plausibile e calzante.
Come al solito, il mio intuito si è rivelato una bussola infallibile nelle mie giornate ma questa faccenda del mio infallibile intuito la spiegherò nella prossima puntata.
"La fraternità ha sottigliezze. Alcuni governano il mondo, altri sono il mondo. Tra il milionario americano, con conti in Inghilterra, o in Svizzera, e l'autorità socialista di un villaggio, non c'è differenza di qualità ma solo di quantità. Al di sotto di loro ci siamo noi, gli amorfi..."
- Fernando Pessoa
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